Uscimmo io e gli altri
Uscimmo io e gli altri e udimmo
le nostre voci fuori, sulla strada;
sospettosamente
vi andammo dietro,
dato che se ne n’erano fuggite
inconsapevolmente, ed ogni voce
gridata lasciava una sottile
eco, a far
da battistrada.
E non erano messaggi, o, se lo erano,
non erano di certo quelli nostri,
comunque sia,
vi camminammo dietro
come i passeri che vanno zampettando
qua e là dietro le briciole, col fine
di riprenderle e ricacciarcele in bocca,
da dov’erano fuggite, e rigridarle,
noi, poiché nostre,
e non degli altri.
E ad una ad una le recuperammo
spartendocele, ad ognuno la sua
e ciascheduno
se le ricacciò in gola
con una procedura straordinaria
ammessa dalle leggi, una misura
logica ed urgente da gridare
o rimettercele in bocca.
A ciascheduno
la sua propria democratica opinione
di scegliere. Ed è quello che facemmo:
una stretta di mano,
e tutti a casa.
Aprimi, sono la porta
Aprimi,mi fa’,
sono la porta.
Titubo. Che faccio, l’apro?
Non è giusto né logico che una porta
dica
al primo che le càpita,
così, senza pensarci. Ma, mi dico,
che diamine mai c’è dietro la porta,
Poso la mano che mi trema,
e non poco, sulla sua maniglia;
le ante sono appena un po’ dischiuse,
dentro, oltre la soglia, s’alza a un tratto
una voce che dice:
Cosa aspetti?
Titubo? No, non è per titubanza,
figùrati!, è che ho paura…Ride,
mi pare divertita. Poi, un gorgoglio,
un gemito, che termina
in un sussurro
rauco, che pare una grattugia. Un raschio,
e un colpo di pistola.
E poi un grido.
Tanto per non star le mani in mano,
entro.
Però dalla finestra.
Fuori, un altro colpo di pistola
e un altro grido. Un altro?
Quello mio.
Al Pronto Soccorso
Pronto Soccorso
triste e grigio
come il malumore che ti prende
a volte quando fuori è freddo e piove,
un borbottio di gente ch’è in attesa
che uno, di là, scandisca i loro nomi.
Il turno. Cos’è il turno? Ah, una noia
lunga, estenuantissima,
chi entra
prende il biglietto, il numero è importante,
e attende la chiamata,
e chi sospira,
seduto lì da quattro o cinque ore
e sorride parlando a voce bassa,
tanto, così, per fare qualche cosa
di meglio che sbuffare.
Ore ed ore
di noia, di dolore e di sbadigli,
– col codice che sia rosso bianco o verde, –
poi, dato e constatato
che fa sera,
e tu sei lì in attesa dal mattino
presto – le otto od otto e mezza, –
e dato che ti senti un poco meglio,
anzi, di più,
ti senti proprio bene,
t’alzi e abbandoni l’ospedale
perfettamente in forma.
Perché attendere
rigenera, davvero fa un gran bene
allo spirito e alla carne. Pronto
Soccorso.
Levagli quel “Pronto”.