IL CONFERENZIERE

La partenza

Salpa. Ha pagato l’ormeggio,
e ora sul ponte della nave
ferma alla darsena, al limite
tra sonno e veglia, io la vedo, triste
e dolcissima, lontana,
come un filo di voce che si spegne.
In bilico tra notte e giorno,
ora sta per partire. Si protende
quasi a fermare l’onda che la porta
( un attimo d’incertezza e smarrimento ),
grida scarne parole di dolore, vedo
che agita una mano a salutare.
Che senso avrebbe invertire ora
la rotta della nave che salpa,
se il silenzio affossa quest’estate
di una piccola storia e il tempo incalza
e rinnega come fosse un’invenzione,
frutto di fantasia, ciò che ci opprime?
E ancora torna l’ora che ci torce
nello scempio dell’oblio di ciò ch’è stato,
e si dipana una voce ( quale voce? )
e una fresca tristezza nell’attesa
del rullio dello scafo alla risacca.
C’è un filo ancora intatto di memoria,
una parvenza di un po’ di luce,
di un lungo addio strozzato nella gola.

e la gente via via si allontanava
e fui di nuovo nella sala vuota,
senza pubblico, solo io e mia moglie.
Fuori, sì, ma nel mio sogno iniziale,
ero ancora nel mondo dei dormienti,
ma era un sogno tranquillo in un sereno
angolo di un sogno, io e lei seduti
sulle sedie dell’incubo. E pensavo
Dio!, ti ringrazio, era solo un sogno…
Un sogno, sì, ma intanto che sognavo,
l’incubo riprese ad ingoiarmi,
e mi sentivo inerme trascinare
nella sala che pian piano si riempiva
della folla di prima, e si sedeva
via via in silenzio, ferma, ad ascoltare
le mie parole, ed io, a scartabellare
qua e là tra le mie carte, inutilmente,
e mia moglie, Stefano, Rosanna,
e il pubblico, impassibili, in attesa.
Uno sforzo disperato e un incredibile
allucinante uscire da quell’incubo,
e di nuovo mi trovai in quel tranquillo
angolo di sogno, e senza gente,
con l’ultimo che usciva, ormai di spalle.
Solo mia moglie, ed io che la pregavo:
Aiutami !, non voglio prender sonno,
dammi una mano, svegliami se dormo!
Ma ancora due o tre volte, ancora l’incubo,
di nuovo quel sentirmi risucchiare
e resistere aggrappandomi a ogni appiglio,
come un naufrago in procinto di affogare,
e ogni volta il risveglio, non dal sonno,
ma dall’incubo. E la sala ancora vuota,
con l’ultimo che usciva dalla porta,
e la folla, di fuori, a protestare,
a chiedere di sedersi ed ascoltare.
E allora strinsi i pugni e mi sforzai,
con tutta la mia forza, e me ne uscii
da quella sala che tornava zeppa
di una folla incredibile, ma uscivo,
sempre però sognando, ed era un sogno
magnifico, un bosco ed un sentiero
e un tranquillo felice passeggiare
senza più sala, tavolo, cognata,
pubblico, microfono, e Stefano,
e il Cantico dei Cantici. Dormivo
come un quieto normale sognatore,
e dicevo tra me e me: È stato un sogno
da raccontare a lei, appena sveglio,
e sorriderne. E pure lei, nel sonno,
forse, chissà, dormendo, si diceva:
È stato un sogno, solo un sogno, ed al risveglio,
nel fare colazione, gli dirò,
bevendo il mio caffè: È stato un sogno…
20 luglio 2009

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