LE POESIE DEL NUOVO ANNO

Piove dove vuole

Lacrime. Come lacrime la pioggia
croscia sui tetti, cade sulle strade,
schizza picchiettando contro i vetri
come per dirci:
Vedi? Son la pioggia…
E l’ascolto in silenzio mentre cade
e bagna i vasi dei gerani in fiore,
( se chiacchieri non la senti picchiettare )
una liquida carezza d’acqua gaia,
non semplice come pensi
né banale,
libera di cadere dove vuole,
di battere leggera ai davanzali
col lieve ticchettio
di una preghiera.
Piove nell’orto dietro casa, dove
qualche sciocca gallina razzolante
cerca qua e là qualcosa da sbeccare.
Piove sulle punte rosa delle viole,
piove dove vuole e quando vuole
con la felicità di chi sa che piove.
alle correnti d’aria e al mal di gola. sognavo,
forse sognavo, e ti vedevo ancora
vivo ascoltare i rospi gracidare
come un addio a un’alba che moriva.
Ma il tempo era in fuga,
e c’inseguiva
di ora in ora in una fuga eterna,
e la brezza del vento divorava
le nuvole, strappava alle betulle
la trina delle foglie,
e i ciclamini
sfiorivano morendo alla tristezza
dei petali straziati dalla brina.
E pioveva, pioveva
sullo stagno,
sul cancello dell’orto, sulle chiazze
d’acqua delle pozzanghere, sui pini
avvolti dalla bruma malinconica
di una pioggia silente,
fredda e rada,
che non sembrava pioggia,
ma un sussurro
di angeli in lacrime di aria.
E moriva nella luce dell’aurora
anche il tuo volto,
anche tu fuggivi
col tempo che, nel suo perpetuo affanno,
lasciava a noi un brivido sottile
di passi in corsa e d’echi senza voce.
Rimaneva
impassibile nel tempo
solo lo stagno e il gracidio dei rospi,
senza cerchi
d’acqua né vento o pioggia, ed una luce
d’eternità.
Non tutto ci cancella
il tempo né l’oblio, qualcosa resta.
Resta il tuo nome,
almeno quello, eterno.

.Il sogno della barca

Forse è un segnale incomprensibile
solo per me,
un fischio e una risata.
Penso: non è un fantasma, è un qualchecosa
di strano, lo sento e non lo vedo.
Ma tu chi sei? Che vuoi? gli chiedo. Ride
Mi volto, dietro me
non c’è nessuno,
guardo giù dal ponte sulla riva
Qui è scalo
per il futuro, qui ci si avvia o si resta,
le barche sono pronte, ed un brusio

di echi di voci sussurrate ora si leva,
e vedo appena appena in trasparenza
un ventaglio di luci chiaro e lieve.
E’ il tempo
del dicibile indicibile,
lo so. Non ne conosco il dove,
né il come – e neanche il quando, – ma comunque
occorre qui decidere:
se scendere
nel sogno della barca,
delle barche legate e ferme ai pali,
dentro ci sta qualcuno che non vedo,
ne sento solo i gridi e le risate.
Poca è la luce, è sera,
e sono solo
qui sul ponte, non so come sia giunto,
né so perché né quando, tutto è assurdo,
pare e non è un sogno, e qualcheduno
certo verrà, un angelo o chi altro,
non dubito.
E’ il tempo dell’annuncio,
e attendo con non sai che titubanza
l’attesa tra l’insonnia e il dormiveglia
di un non so che del dopo che m’aspetta.
Esito un poco prima di decidere
se scendere e pagare
anch’io il pedaggio,
le barche stanno ancora ferme ai pali,
non c’è nessuno a bordo, o quantomeno
nessuno che si veda, ed è una sera
straordinariamente limpida e serena,
e c’è un vagito d’acqua lieve e chiaro.
Una voce mi dice anch’io verso il futuro, oppur restare.
Nel prima o poi del tempo che m’è dato
per vivere o morire,
basta poco
a scendere e montare s’una barca,
ma esito, il viaggio è lungo e greve,
e resisto, non cedo alla chiamata.
Poca cosa, lo so,
per non morire,
vivere da sveglio, faticare
portando via con me, alla spicciolata,
anno per anno ciò che mi rimane,
qualche anno di più, ma quanto basta
alla pietà del dopo
che m’aspetta.
Non c’è un punto del poi che non sia eterno,
un prima o un dopo

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