RESSUREZIONE

Reincarnazione

Ma sì, non stiamo a sentenziare
coi soliti mezzucci intellettuali
se o perché ci voglia un nesso logico
tra ciò che scrivo e ciò che a voce nego.
No, non mi arrampico sui vetri,
non smanio di credere o non credere,
e se cucio un insieme di parole
sui misteri dell’aldilà dell’anima,
è per via che cerco di capire
l’eternità nel suo flusso arcano
di tempo senza inizio e senza fine.

E m’impantano in deliri di teorie
belle ma scomode, e le scrivo
e tu mi leggi e mi dici che ci credo,
ma è solo per convincermi di crederci
che getto via i dubbi e i pregiudizi
e metto giù s’un foglio storie intime
di angeli o di anime di morti.
Ma è una provocazione spirituale
essere un credente senza fede
di un’inventata mia reincarnazione.

Ne sorridi anche tu, ma non di meno
capita talora che ci credo
ad un piccolo mondo tutto mio,
ma inconsciamente. E mi vedo nascere
un domani lontano, tornar vivo
in una vita diversa, disadorna,
un giorno dopo giorno senza gioia
né pena. Forse un pesce
di mare, tutto un tedio
in mezzo a tanti pesci silenziosi,
a ridere di me, anch’io annoiato
pesce in attesa di chissà che cosa,
e a muovere occhi, bocca, pancia e coda,
dar di pinna nuotando, chissà dove.
E intanto che mi guardo, nuoto e rido.


La via d’entrata

Cercavo una via d’uscita, e invece
mi son trovato
in una via d’entrata.
Sì, confesso che avevo l’intenzione
di mandar tutti al diavolo
e di uscire.
C’era una porta aperta, e la varcai
convinto di uscirmene giù in strada,
ma non era una strada,
ma una stanza,
la strada era dentro e la stanza fuori.
Ero uscito
da un via d’entrata
che dava in una enorme piazza aperta
al sole, alle nuvole, alla pioggia,
e case dappertutto e strade e gente
in macchina, a piedi, in processione,
gente qua e là nei bar e nei negozi,
tutto nell’immensità della mia stanza.
Brancolai
tra la luce delle cose,
miriadi, assiepate nella stanza,
spingendomi oltre il tempo,
oltre lo spazio,
fin dove l’occhio cede alla distanza
e all’aldilà del limite entrai
come un’ombra
nella retina di un cieco.
Là vi trovai la mia tacita immanenza,
nello sguardo nel Nulla, l’impossibile
di tutto ciò ch’esiste e non esiste,
e trattenni il respiro per rivivere
l’eternità nella retina di un morto.


Tutto per nulla

Voi che ve ne state qui distesi
tranquillamente in santa pace, voi
che dormite sognando d’esser vivi
in chi lo sa che arcano paradiso,
ma come siete bravi a pazientare
in attesa dell’ultimo risveglio !

Oh sì!, lo so che un giorno non lontano
vi sveglierete e, trattenendo il fiato
e camminando senza far rumore
sulle punte dei piedi, come i ladri,
riprenderete a vivere tra noi,
qui, nella nostra casa un tempo vostra,
ci siederemo a tavola a mangiare
noi il nostro cibo quotidiano,
voi il pane e il vino dell’Eterno.

Io non so se andrò senza rumore,
se mi metterò disteso in terra
tranquillamente, anch’io in aspettativa
del mio turno per tornarmene a casa.
Penso che lo farò, ma con rumore,
disturbando la quiete della gente
viva parlando ad alta voce,
perché sappia che sono come loro,
vivo, e che quella è la mia casa,
lì c’è la mia sedia, il mio computer,
e mia è la biblioteca in corridoio,
lì il letto a doppia piazza dove dormo.

E poi voi ve ne andrete e io starò fermo,
qui, ad aspettarvi nel tinello,
in attesa che suoniate il campanello.
Ma io non so di certo a cosa serva
andarsene a dormire e poi tornare,
se tutto poi sarà allora come prima.
Tutto un trambusto inutile per nulla.

Foto col nonno

Stringetevi!
Non è la solita boutade,
d’accordo, però ( sarò un pignolo ),
ma, porcalamiseria!,
qui ci vuole,
non so, anche un albero od un muro,
un gatto, una qualchecosa
come sfondo,
per la foto di gruppo con il nonno,
magari un cortiletto, una legnaia,
od un orto col radicchio che va in fiore
….oppure no, ecco: un mercatino
con cose d’altri tempi.
Perché tutto
entri nella fotografia: anche il nonno.
Stringetevi, per favore.
Accidenti!
Fermi, un po’ più a destra….
E sorridete….

Il mio meraviglioso

Mi siedo s’una seggiola e penso,
con gli occhi chiusi per visualizzare
quel che non sono. E se lo trovo,
me lo metto al sicuro in un pensiero
perché non voglio perdermelo, e comincio
piano pianino ad addentrarmici,
per potermelo godere in santa pace.

E’ un po’ piccolo, sì, però mi piace,
e se ci si sta stretti, finalmente
qui mi ritrovo tutto ciò che cerco
furiosamente da non so quant’anni:
il mio meraviglioso Italo Bonassi.


Magari!

Voglio trovare dentro me un qualcosa
di me che non ho mai posseduto
per potermi meglio riconoscere
e pulirmi di ciò che m’ha imbrattato
di dentro e diventare
libero di essere il mio di dentro,
qualcosa di diverso, assai meglio
di quel che sono. Chissà se forse
diventerò un altro Italo Bonassi.
Lo spero vivamente. Oh sì, magari!

Scivolano alcuni quieti istanti
di luce sulle foglie morte,
senti un qualchecosa di fragrante
di rosa, un lievitare di un silenzio
d’anime che levitano nell’aria
lievissime e odorano di mirto,
di uva spina, crisantemo e viola.
Nero in uno scialle d’erba
serpeggia oltre il cimitero
un tulle sfilacciato di mirtilli
sul dosso incoronato di tagetes
che sfumano in un miracolo di luce.
Vola in un presagio di letargo
il vento che s’inforra tra i noccioli
e non lo senti più fiatare,
solo un grillo, in ritardo sull’orario,
disibinito, canta, ovvero scricchia
fra fèrule ed ortiche. In una nicchia
una piccola Immacolata ancora dorme
in un lucore lieve come neve.
Giorno risuscitato, sui crinali
sfrangia una giostra madreperla
di ninnoli di luci tra i lentischi
e il sonno delle rose, clandestina
come una vela che ritorna in rada.


Un volto in penombra

L’acidulo sapore del ribes,
dolce ed aspro che ti molce in bocca,
e il profumo di menta e d’albicocca
del fiato del mattino primaticcio
ti rammenta il delirio dell’estate,
fugace come un’ala di farfalla.

E ti rimodella di penombra
nel volto il trasalire di un sorriso
un poco gaio e triste, grinzo
sfocato come un petalo ormai vizzo,
un guizzo , come un alito di brace
che illumina – un attimo – il ricordo
e svicola nel buio di un anfratto
di un tempo senza pace. Torna
accidiosa la memoria,
stentata e pigra, e finge una segreta
insospettata gioia, una letizia
di cose inconosciute e latitanti,
ninnoli di ricordi oramai bradi,
come echi in un cavo di conchiglia,
mestizie di relitti di naufragi.

Resta il sarcasmo dell’oblio,
tiranno incontrastato nell’arsura
orbata della luce di un sorriso
un poco mesto e gaio, ed un sopore
di storie sfatte, esangui, di Penelopi
esauste, senza filo, all’arcolaio.

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