LA POESIA DELL’ACQUA

La poesia dell’acqua

La radio che strepita. Il televisore che fa a gara col rumore di alcune motorette giù in istrada. L’acqua del rubinetto che croscia con violenza nel lavello mentre lei lava e risciacqua pentole, bicchieri e piatti e tutto quello che c’è da lavare.

L’acqua, sì, l’acqua, questa nostra indispensabile amica, nel bene e nel male, nella siccità come nelle alluvioni, l’acqua, questo meraviglioso ammasso liquido di idrogeno ed ossigeno (ogni due atomi di idrogeno, uno di ossigeno, e qui non ci si scappa, la natura non fa eccezioni, miliardi e miliardi di miliardi e ancora miliardi di molecole in un laghetto alpino, tutte composte da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, e solo l’uomo riesce a spaccarle e ad aggiungervi un altro atomo d’ossigeno per portare il conto alla parità, ma è come creare una mostruosità chimica in spregio alla natura ), l’acqua, dicevo, scorre nella costrizione delle tubature, sale fino al secondo piano dove abito, giunge al rubinetto e si getta scosciando nel lavello della mia cucina, finalmente libera.

L’accoglie la spugna intrisa di detersivo di mia moglie e una fine poco onorevole giù per lo scarico.Mi viene in mente quando, alle Medie, la maestra ci leggeva Aldo Palazzeschi.

Clof, clop, cloch, / clòffete, clòppete, clòcchete / chchch…/ Tossisce, /tossisce, /un poco /si tace, /di nuovo / tossisce.

Poi, silenzio. Improvviso quasi sconosciuto silenzio. La radio e il televisore sono spenti, i motorini hanno smesso di passare. Pentole, bicchieri, e quant’altro sono sistemati a sgocciolare tranquilli nello scolapiatti. L’acqua non canta più, altra acqua è ancora rinchiusa nelle tubazioni, ferma all’altezza della bocca del rubinetto.

Ed ecco che tutto sfuma, dilegua, come se una nebbia avesse portato via tutto, e resto solo io, e, dolce e tenera, sommessa e suadente, una voce che non conosco, mai udita, si confonde con lo stormire leggero delle foglie, col suono appena percettibile di un ruscello. E tutto attorno a me è poesia, tutto è preghiera. E mi pare di sentire l’acqua del ruscello ripetere sottovoce la voce misteriosa, la voce del silenzio. Quella del Cantico delle Creature di S. Francesco d’Assisi, noto anche come il Cantico di Frate Sole.

Il Santo più caro agli italiani, il Santo poverello San Francesco d’Assisi, il primo poeta italiano. Tutte le creature sono da lui sciamanicamente conclamate frate e sora, anche sorella acqua.

L’analogia acqua-radici è avvicinabile all’analogia acqua-vita in cui l’ancestralità è lo sfondo di molte liriche e mi voglio qui riferire ad una delle prime liriche riconosciute dalla storia della letteratura ovvero Laudes creaturarum di S. Francesco d’Assisi:

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’acqua, / la quale è multo utile et humile et preziosa et casta.

Laudate e benedicete mi’ Signore e rengraziate / E serviteli cum grande humilitate.

La mia acqua è chiara acqua sorgiva fra teneri muschi fioriti, è aria che avvolge, carezza, abbraccio, incantato nuoto, è tempo che scorre, canto libero, respiro, emozione, è il principio della vita, cascate di umida memoria, limpida storia, è oscuro liquido, abisso profondo, sorgente sotterranea, è perdute sorgenti, vuoto fondale, terre alla deriva, arsura, indifferenza dell’onda, è girandola di luce, è spumeggianti cascate di luce, gocce scintillanti, è danza, infiniti cerchi, riflesso, opalina trasparenza, è arabesco, arcobaleno in frantumi, polvere d’onda, fluente chioma evaporata, è rumore che trascorre, è murmure cammino, bianco frastuono, rombo scrosciante, levigante fragore d’onda, è liquido sguardo, intrisi pensieri, pioggia nella mente, è gocce di rugiada, è umido strisciare di piedi nudi sulla sabbia, mano d’acqua ed è acqua nel bicchiere.

Il rispetto manifestato dall’uomo nei confronti dell’acqua equivale al rispetto nei confronti del destino. In Eugenio Montale non v’è alcuna pretesa di controllare il fluire del tempo- acqua, come allo stesso modo Francesco non pretende di controllare e manipolare la vita da essa rappresentata.

Cigola la carrucola del pozzo, / l’acqua sale alla luce e vi si fonde. / Trema un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio un’immagine ride. / Accosto il volto a evanescenti labbri: / si deforma il passato, si fa vecchio, / appartiene ad un altro… Ah che già stride / la ruota, ti ridona all’atro fondo, / visione, una distanza ci divide.

L’acqua in questa lirica di Eugenio Montale è collegata alla memoria e dunque alle radici profonde dell’io: è l’acqua del pozzo, che sale alla superficie e in cui si riflette per un attimo il volto della donna amata, prima che ritorni all’atro fondo della coscienza, dove tutto si perde ma da dove tutto può improvvisamente riaffiorare.

Ma l’acqua in Montale è anche quella del mare come metafora della vita, come invito ad esserci, a realizzarsi, nonostante i travagli dell’esistenza quotidiana; è l’ampia distesa d’acqua che, illuminata dai raggi del sole, sembra invitare il poeta, annichilito nel caldo pomeriggio estivo, a riprendere il cammino nonostante le difficoltà e il non senso di questo continuo ‘rialzarsi e andare ’ oltre il ‘ rovente muro d’orto ’che è la vita in quanto :

Meriggiare pallido ed assorto / presso un rovente muro d’orto, / ascoltare tra i pruni e gli sterpi / schiocchi di merli, fruscii di serpi.(…) Osservare tra fronde il palpitare / lontano di scaglie di mare / mentre si levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi.

L’acqua in Montale ha soprattutto una connessione con l’io del poeta in quanto strumento di riappropriazione del passato e con esso della propria identità individuale giacchè la vita di un uomo può avere un senso, una direzione, una dimensione mestica.

Tutto intorno a me ora si aggomitola boccheggiante nel silenzio irreale e lontano che non conoscevo. Sembro quasi inutile, ristretto nella mia piccolezza, perché il silenzio è come quello grande, immenso, di un piccolo lago alpino, dove l’acqua non è imprigionata dall’uomo ma ristagna, tranquilla e silenziosa, tra le sponde erbose, ed il verde degli alberi circostanti le danno un colore smeraldino.

Mi guardo intorno: sono immerso nel verde del silenzio di un laghetto nascosto tra abeti maestosi. Solo un fruscio sommesso, monotono, del piccolo rio che lo alimenta.

Il silenzio qui ha una voce. Cento, mille suoni emergono dalle ombre che ci sovrastano, il silenzio del Niente che c’è ovunque, del tempo che se n’è andato, di quello ancora da venire, il silenzio che è in noi, nel nostro respiro, nel battito calmo e lento del cuore.Chiudo un attimo gli occhi, e il piccolo rio ora sussurra sommesso, delicato, e pare non più voce d’acqua, ma voce di uomo innamorato, delle parole già lette e già udite quando, a scuola, la professoressa ci leggeva il Petrarca, e noi l’ascoltavamo in silenzio, nel silenzio tranquillo delle classi di allora. Laura nuda fa il bagno in un fiume, come una Venere nascente nell’acqua. Ricordate?

Chiare, fresche dolci acque, / ove le belle membra / pose colei che solo a me par donna. / ( ….) / dai bei rami scendea ( dolce ne la memoria ) una pioggia di fior sovra il suo grembo…/ (…) / qual un vago errore / girando parea dir: Qui regna Amore…

E viene in mente Cecco Angiolieri, e il suo Canto dell’odio, che non parla di acque chiare, dolci, fresche, ma nell’invettiva contro suo padre s’immagina di essere dell’acqua e di poterlo annegare:

S’i fosse foco, arderei ‘l mondo, / s’i’ fosse vento, lo tempesterei, / s’i fosse acqua, i’ l’annegherei

Ma penso che anche lo zampillo d’acqua fresca in un piccolo orto, un getto d’acqua che abbevera le verdure assetate, possa essere cantato da un poeta, e trovare il suo giusto posto tra le poesie più famose dei più famosi poeti.

Uno zampillo che mi porta la voce di un poeta quasi sconosciuto dell’800, un Giambattista Maccari che dovrà aspettare chissà quanto ancora per essere nuovamente ricordato da qualcuno. Lo ascolto e quasi quasi mi commuovo.

È un picciol orto fresco d’acqua viva / e d’un’erba verdissima che trema / al vento della sera. Un pergolato / tutto lo cinge. Vi son frutta; il fico / molle di latte, pendono conserte / alle pere, le mele variopinte, / e sotto il verde di sue foglie il pesco / mostra le vaghe poma. In mezzo è un chiuso / d’arboretti che curvansi sui rami, / e dentro, al fresco, stan garzoni e donne…. ( Il cocomero )

3 pensieri su “LA POESIA DELL’ACQUA

  1. Sublimi i versi del Petrarca,ma mi hanno piacevolmente stupito quelli del Maccari, che ahimè devo dire ignoravo .Grazie a te che lo hai citato e mi hai incuriosito,ora vado a documentarmi su di lui.Se mi posso permettere, augurandoti una piacevole serata citerei anche io alcuni versi di Gabriele D’Annunzio sull’acqua

    Acqua di monte,
    acqua di fonte,
    acqua piovana,
    acqua sovrana,
    acqua che odo,
    acqua che lodo,
    acqua che squilli,
    acqua che brilli,
    acqua che canti e piangi,
    acqua che ridi e muggi.
    Tu sei la vita
    e sempre sempre fuggi.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento