La bella vita

PICCOLO IDILLIO STONATO

Pomeriggio di sole malato,
malinconica pace di case,
orti, stretti vicoli, piazzette
e androni semibui. L’estate
ha papaveri rosa di fuoco
tra l’erba che accompagna le aiuole
e la polvere che inquina lo sconnesso
selciato. Nel buio tutto tace,
e il vento ora ha smesso
e riposa. Una pace di usci,
di frusci di grilli assonnati,
e finestre occhieggianti nel lento
respiro dell’ombra che scende
nell’aria che pare di vetro,
leggera, e porta la sera
l’occaso che pare di raso.

Discosto le tende
e una lenta cadenza passi
giù in strada, rintrona sulla lisa
piazzetta davanti al Santuario,
una piccola suora s’affretta,
alacre sentinella della fede,
al rosario. Dolcezza infinita
dell’ora tranquilla e soave
che lenta se ne va alla deriva,
rottamata come una nave
nel buio del mare,
in disarmo. Aspetto l’ultima squilla
del mezzo sbrecciato campanile
del vecchio Santuario,
e me ne vado assonnato al rosario
del sonno, chiedendo perdono
al Signore,
perché, se ho peccato,
ho peccato per amore,
e mi dica che vuol dire peccare.

IL PECCATORE

Entro in un luogo senza tempo,
profugo della mia vita d’uomo.
Ho sete e ho fame del profano,
e paura del sacro. Sento
il mio inconscio che parla nel silenzio
colpevole della mia parola,
voce di carne e sangue, anti-Verbo.

Come fossi un separato in casa,
recito l’Ave Maria del peccatore
nella pietà del mio confessionale.
E non so se assolvermi o accusarmi,
perché sono un colpevole innocente,
come lo siete voi che mi accusate.

NON CI AVEVA FATTO CASO

Era stata, oh, sì, una cosa facile,
tanto che non ci aveva fatto caso,
no, non s’era accorto ch’era morto,
chissà, per noncuranza o distrazione
(come, del resto, accorgersi? ), e lo seppe
solo allorquando venne a lui un angelo
(o uno spirito ) disceso giù dal cielo
a dargliene l’annuncio.
La qual cosa
certo lo colse alquanto di sorpresa
(o, meglio, alla sprovvista ), quella sua
(chiamiamola inopinata ) dipartita
dal mondo del di qua.
Ma poi, a rifletterci,
non era quello il caso d’iniziare
una polemica – dovevano avvertirlo
in anticipo, sia pure per rispetto
della sua sacrosanta dignità
di geometra al Catasto, –
ma, pazienza,
visto che il fatto ( fatto?, no, fattaccio,
chiamalo malfatto ) ora era fatto,
con umiltà di spirito e di cuore
ora era d’uopo
( più che d’uopo d’obbligo)
con malcelato orgoglio dare prova
tangibile di prenderla alla grande
– oh sì, con eleganza, – e lasciar perdere
ogni minimo accenno di fastidio,
e sorridere. E anche l’angelo sorrise
e disse: Vieni!
Ed era quasi l’alba,
e, vago d’aspetto, etereo, evanescente
come un lumino, un refolo di luce
di fiamma di stoppino,
uscì di casa
dietro di lui. Ma chiuse prima l’uscio,
portandosi via le chiavi. Fuori, il buio,
non un’anima viva per la strada,
solo orme di piedi perse nella neve,
e il suo essere-non essere, etereo
spirito non più carne, immateriale
ignota eternità di cui si parla
a sproposito, così, senza saperne
un minimo di nulla,
– quanto meno
si brancola – e senza cognizione
di causa, ipotesi e sproloqui
su ciò che non si sa che cosa sia,
se effimero od eterno,
bello o brutto….

UNA PICCOLA PIOGGIA

Ho spalancato l’uscio e, appena aperto,
n’è entrato il sole, e, con il sole, il vento,
e, con il vento,
un piccolo pezzetto
di nuvola, e, nella nuvola, una goccia
piccola di pioggia ( stava lì, in attesa
di piovere ).
La pioggia di una goccia.
L’ho presa e stretta in una mano,
la nuvola, e prèsala e strizzata
come si strizza un cencio,
n’è schizzata
fuori la goccia. E, con la goccia, un lampo
piccolo, di un piccolo temporale,
un lampo con un tuono.
Ed ho rinchiuso
subito la porta. Ero bagnato
fradicio d’acqua
di una sola goccia.

DI CORSA

Ho perso chissà come la giornata,
o per ingenuità o sbadataggine,
e il bello è che non ci ho fatto caso
che qualcuno mi ha detto : Stai attento,
tienila a bada fino a che sei in tempo…
Ed ora, a compensare la giornata
fatta di corsa, sosto e tiro il fiato:
non mi va di giungere in anticipo,
mi conviene arrivare all’ora giusta
senza troppo correre, e andar piano,
piano, per carità. E se mi dicono
di muovermi e affrettarmi, faccio sì
col capo, ma poi mi fermo e siedo.
Che corrano pure gli altri, io non li seguo.

IN CERCA DELLE COSE

Ho creduto di essere assieme a voi,
invece eccomi qui solo
che ascolto un po’ di musica alla radio
con uno strano senso di allegria.
Ero però già solo ancora prima
di uscir di casa e venire qui
con questo stato d’animo fiorito
di un tocco blu di cielo. Si va,
-poi si vedrà,- incontro al giorno
in cerca delle cose. Siamo noi
la nostra voce che ci parla,
noi il nostro udito che ci ascolta.

LA BELLA VITA

La salvia, la mentuccia e il rosmarino
fanno oramai già quasi primavera.
Questa è la bella vita, e la si vive
passo a passo come i vagabondi
che camminano per vivere. Amici,
andiamocene camminando pure noi
tra sedani, origani e cipolle
in questa vita insulsa, però eterna.
Eterni noi, i broccoli e i radicchi,
poi, se si è d’accordo, anche le rape.

UN MATTINO IN GHINGHERI

Guardavamo dall’alto del balcone
un sole solitario quietamente andare
tra nuvole d’un bianco monacale
nella luce profonda di un mattino
in ghingheri.
Un salottino verde,
l’orto con le prime rose in fiore
e i piccoli lumini gialli delle primule
selvatiche nell’ombra di un ciliegio
bianco di fresco.
Come un’invitante
lasciapassare per l’estate
le rondini a filo di grondaia.
Ho guardato fuori
ch’erano sì e no le sette del mattino,
e per la prima volta in vita mia
ho visto una tamerice
farsi rosa
così come fa questa, un rosa lilla
che più non è possibile, un ardore
vergine di un rosa di bucato
nell’ora chiara e fresca, così intima
che pare salottiera.
Ed un profumo
dolce di viola tricolore.
In questi tempi miseri ci basta,
per dare gioia agli occhi, un po’ di sole
( che importa se fuggevole? ), e se piove,
ben venga anche la pioggia, ma le primule
lasciatele alle sette del mattino
di tutto l’anno
e non soltanto oggi,
lasciatele se nevica e fa gelo,
e la luce s’abbuia e vien l’inverno.
Ma il tempo non ha tempo, va di fretta
anche per noi, che non siamo primule.
Vorrei poter fermarlo,
ma non riesco.

Abbassa la musica

Troppo alta la musica.
Abbassala…
Come non detto, ecco, fragorosa,
schizza una nota altissima, uno scoppio
di un fragorosità vertiginosa,
s’alza, s’abbassa, esplode
in un tripudio
come d’un improvviso fuoco di bengala.
Scusami,
mi fa, ma mi si è rotta
la chiave di violino…
(Un preludio di Bach, a quanto pare)
Punto su punto la ricuce e scende
nota dopo nota in un calando
lieve e piacevole,
una musica
soave, pianissima, una nenia.

Un suono di un’azzurra lontananza,
come in una domenica aprilina
nell’assolato incanto di un mattino
un coro giaculatoria di pie donne
al suono gaio di campane a festa.

Così suonano gli angeli,
dici.
Un suono, o, più che suono, una preghiera.
Sentivo in un luminoso caos
una voce. Una voce bassa, roca.
Ecco, fa uno,
è un angelo che canta
l’Angelus….
Applaudiamo.

5 pensieri su “La bella vita

  1. Altro che idillio stonato!! “Nel buio tutto tace,/ e il vento ora ha smesso/ e riposa. Una pace di usci,/ di frusci di grilli assonnati,/ e finestre occhieggianti nel lento/ respiro dell’ombra che scende
    nell’aria che pare di vetro,/ leggera, e porta la sera/ l’occaso che pare di raso…” è melodia sublime questa…

    Mi sta a cuore quel peccatore , perchè rappresenta anche me e buona parte dell’umanità, quella che come dici tu ha fame e sete di profano e paura del sacro, e anche se non si è credenti cerchiamo per lo meno di autoassolverci con l’attenuante di appartenere al genere umano…e riallacciandomi a qualche tuo rigo più su, l’amore è una così potente attenuante che nutro forti dubbi che si possa davvero peccare in nome suo

    Fai bene a non seguire quelli che sono sempre in corsa…neppure io li seguo, perderei il gusto di alzare il naso al cielo, di osservare il particolare di un’architettura o più semplicemente ma non meno importante, quello di assaporare lentamente un cioccolatino. Invece che divorarlo il tempo, lo dobbiamo gustare, in ritardo saranno gli altri quando capiranno che non han compreso il piacere della vita.

    la poesia sulla pioggia è quasi un gioco poetico, in cui le parole si concatenano piacevolmente, un po’ come le gocce ,una dietro l’altra, e ci inzuppiamo, leggendole, del loro effetto più realistico, che ci fa partecipi della scena reale e surreale al tempo stesso.

    “Siamo noi la nostra voce che ci parla, noi il nostro udito che ci ascolta.” una bellissima illustrazione della solitudine, amata o mal tollerata a seconda del carattere di ciascuno di noi. Personalmente la amo, mi piace conversare con me stessa e ascoltarmi , finalmente lontana dal caos che c’è fuori; e poi , a parte pochissime persone che possono tentare di capirci, chi meglio di noi ci può comprendere?

    Un mattino in ghingheri non la commento ma la rebloggo, insieme al link per questa pagina tutta da leggere.
    Buona serata Italo, un bacio affettuoso, e come sempre grazie!
    Daniela

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  2. Pingback: Un mattino in ghingheri – di Italo Bonassi | Il Canto delle Muse

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